63° A.U.C.

19/04/1971 - 16/09/1971

 

Ener Antonio Barbero
Andrea Bernasconi
Francesco Boraschi
Gianpaolo Favero
Gianni Martini
63° A.U.C.




 

 

 

 

Il Corso della “svolta"

 

 

Perché “Corso della svolta” ? Perché, intanto, fu l’ultimo a prevedere cinque mesi di SMALP, tre mesi da Sergente AUC e sette da S.Ten. anche se, in seguito, la norma venne nuovamente adottata.

Poi è l’ultimo Corso che ricevette, da quello precedente, la “stecca”. Fu il Corso dei “sessantottini” e, forse, fu proprio per questo che fu un Corso “fuori dagli schemi”, tant’è che, oggi, gli ex Allievi del 63° si sono tutti (o quasi) “defilati alla vista e al tiro”.

Il 63° Corso era quello della 2a Compagnia, quella comandata dall’allora Tenente PETROCCO: ve lo ricordate? … : "Guarda queeello! Sembra una vaccassa!".

Petrocco, il “Tenentissimo che fa benissimo”.

Quelli, come me, che arrivarono ad Aosta, quel mese di aprile del 1971, con il treno, furono caricati su un C.P. - ovvero Carro Pesante -; … io lo definivo genericamente, fino a quel momento, “camion”, ma, in seguito, imparai a distinguerlo dal C.M. - Carro Medio - e dal C.L. – Carro Leggero. In seguito scoprimmo che quel CP era anche quello che era destinato a portare i “rifiuti rancio” in un allevamento di maiali presso il quale la SMALP si approvvigionava di carne suina. Boh! … Se non altro confesso che una carne di maiale buona come quella che si mangiava alla SMALP non ho mai più avuto occasione di mangiarla!

I primi tempi, per uno come me, abituato alle comodità del “figlio unico”, furono assai duri. Tanto per cominciare la sera stessa del nostro arrivo, fummo accolti, all’ingresso dello spaccio, dagli allievi del Corso precedente che ci invitarono, molto amabilmente, a “pinciare” prima di entrare. Io mi rifiutai ed allora, oltre ad entrare nel mirino dei Veci, venni soprannominato “pincia” da un mio compagno di corso.

Poi cominciarono le “escursioni”; ricordo come fosse oggi quella alla mitica “quota 801” quando mi fu affidato il trasporto della MG: una scarpinata da niente, per chi era allenato, ma per uno come me che, fino a poche settimane prima, trovava difficoltosa anche una modestissima rampa di quattro gradini, fu un’impresa titanica. Quando giungemmo in cima mi lasciai cadere a terra, incurante dei cardi selvatici che mi pungevano dappertutto.

Il bello - si fa per dire! – di queste escursioni era il ritorno: non ho mai capito se fosse per recuperare il tempo perduto o se per una sorta di sadismo del Ten. Petrocco, per il ritorno dalle marce venivano scelti sentieri ripidissimi, cosparsi di aghi di pino secchi. Più che marciare velocemente si correva giù per quei sentieri col risultato che la maggior parte del percorso lo si copriva col sedere a terra, dopo essere scivolati su quei maledetti aghi. Proprio per questo non ricordo che, durante le escursioni, si cantassero motivi alpini, ma, sicuramente, sulla strada del ritorno, cori se ne sentivano ed erano cori ai quali, la domenica mattina, nella “piazza d’armi” della caserma, si cercava di rimediare assistendo alla S.Messa.

E che dire delle esercitazioni al poligono? Credo che tutti i miei compagni di corso si ricordino quella volta che si provò il lancio della SRCM: io non avevo potuto partecipare alla lezione che il Ten. Petrocco aveva tenuto nel cortile della Caserma in quanto - guarda un po’ …! - a “riposo branda” in quanto sofferente di tendinite a seguito di quella che (non ho mai capito perché) veniva definita “reazione fisica” e che, alla fine, era una corsa nella “piazza d’armi” della Caserma con quelle micidiali scarpe da ginnastica marroncine, dure come la ghisa.

Al poligono, dunque, quando fu il mio turno per il lancio della bomba a mano, mi avvicinai al Ten. Petrocco con l’intenzione di chiedergli lumi su come si dovesse lanciare l’ordigno; lui non mi lasciò neppure fiatare: mi sradicò la bomba dalla mano e, cominciando a picchiarmela sulla zucca, protetta dall’elmetto, mi insultò credendo che io non volessi lanciarla o che avessi qualche paura. Sono sicuro che se qualcuno degli ex allievi del 63° legge questo breve resoconto, si ricorderà dell’episodio.

C’erano, tuttavia, parentesi decisamente piacevoli: chi si ricorda, sempre al poligono, quando il sottoscritto interpretava la parte del motociclista? Un amico funzionava da manubrio e l'altro fungeva da motore e da sella (allego per questo una foto).

E la libera uscita ? C’era, per esempio, la barista dell’Edelweiss, un bar a poche centinaia di metri dalla Caserma. Era una brunetta che aveva parecchie “curve pericolose” e che portava in giro, baldanzosa, la sua mercanzia non disdegnando “attenzioni” più approfondite da parte degli allievi ufficiali. Ricordo, in particolare, una sera che io e un amico l’aiutammo a smacchiare la minigonna (molto mini e poco gonna) dietro al banco del bar mentre lei, imperturbabile, continuava a servire caffè e birre.

Io, però, ero assai attratto anche dagli aspetti enogastronomici del luogo e, sovente, con alcuni dei miei colleghi, ci avventuravamo alla scoperta di trattorie che fossero in grado, se non di annientare, quanto meno di sopire, l’appetito che soltanto i giovani di vent’anni riescono ad avere.

C’è anche il capitolo Istruttori: erano Caporal maggiori e Sergenti provenienti dalla stessa SMALP, ma dai Corsi ACS. Ne ricordo uno, in particolare: il Sergente XX, di Sassuolo, al quale, un giorno, tirai un colpo mancino: si stava nel cortile antistante le camerate e si teneva non so quale lezione; d’un tratto il Sergente mi ordinò, in tono perentorio, come imponeva la forma alla SMALP, di andargli ad acquistare una Coca Cola allo spaccio. Eseguii l’ordine, ma, mentre tornavo dallo spaccio, agitai vigorosamente, lungo tutto il percorso, la lattina come se fosse uno shaker: appena il poveretto aprì la lattina … beh! … non rimase più un goccio di bibita a disposizione del Sergente XX!

Bei ricordi! Talmente belli che non mi riesce facile comprendere il motivo per il quale, fra tutti i corsi della SMALP, il 63° brilli per la sua assenza su questo sito. Chissà!

Adesso, però, forse qualcuno scoprirà che c’è anche il “corso della svolta” e sarebbe assai bello se, a 35 anni dal congedo, ci si ritrovasse, con le nostre pancette “alla zuava”, magari proprio ad Aosta dove approdammo giovani e viziati e da dove, dopo appena cinque mesi, uscimmo … quasi Ufficiali, ma certamente più uomini.

E se, dopo aver letto questo breve riassunto di cinque interminabili, ma bellissimi, mesi della vita “da alpini” a qualcuno del 63° Corso AUC pungesse vaghezza di contattarmi, troverà qui la mia mail.

 

Ener Antonio Barbero - 63° A.U.C.